Sesostri re di Egitto (Zeno e Pariati), Venezia, Rossetti, 1709

 SESOSTRI RE DI EGITTO
 
    Drama per musica da rappresentarsi nel teatro Tron di San Cassano nel carnovale dell’anno 1709, a sua eccellenza la signora contessa Fulvia Visconti della Somaglia, eccetera.
    In Venezia, appresso Marino Rossetti, in Merceria all’insegna della Pace, con licenza de’ superiori e privilegio.
 
 Eccellenza,
    una stella che si distingua dall’altre, o sia per l’estensione della sua grandezza o sia per lo splendore del suo lume, ferma di tal maniera in sé gli occhi di tutti che ognuno, nell’ammirarne la comparsa, ne brama a suo favore gl’influssi e vanta per innocente una cotale ambizione o almeno la discolpa, con la rarità dell’oggetto che lo rapisce. Tanto avviene ove s’incontra un nome segnalato e riguardevole, fra gli altri, e la dignità del quale si renda cospicua per tutte le più rare prerogative, o sieno della natura o sieno della virtù; imperciocché non v’è intelletto che, nel saperne i fregi, non ne concepisca venerazione e non vi è cuore che, nel desiderarlo a lei favorevole, non gli consacri tutti gli affetti. Queste, madama, sono le ragioni le quali in qualche parte scemano a me il rossore di aver consacrato questo drama al nome di vostra eccellenza, essendo cosa certa che, come questo non puol essere né più sublime né più grato all’applauso comune, così non sa né più ossequioso né più ardente dimostrarsi il mio rispetto. Io qui non addurrò le chiarezze illibate del vostro sangue nobilissimo, famoso alla memoria di tanti secoli passati e che sarà glorioso a tutti quelli che verranno, non la famiglia eccelsa dove voi siete passata con felicissimo innesto, non le glorie antichissime e perpetue de’ vostri antenati, non le doti esteriori le quali adornano la persona di vostra eccellenza. Parlerò solo ma succintamente, per non scostarmi dal genio della vostra modestia, di quelle preziose qualità che voi, madama, stimate vostre perché sono dentro di voi. Quell’anima cotanto eccellente in ogni suo movimento, quel generoso instinto di beneficare ogni ricorso, quel genio appassionato per ogni sorte di virtù, quel magnanimo talento di proteggere le belle lettere sono gli ornamenti che fanno veramente grande il vostro nome, non solo in Milano, vostra patria e fortunato teatro delle vostre belle doti, ma in tutto il mondo, alla vista del quale egli vi rappresenta come l’idea perfettissima della dama più compita e come il maggiore e singolare ornamento del vostro sesso. Poteva io, fra le giuste rimostranze di stima che tutti rendono ad un nome così degno, tener più lungamente oziosa la mia divozione verso di vostra eccellenza? Perdonatemi, madama, io onorato dalla vostra benignità con la cortese approvazione, data altre volte alle mie debolezze, doveva darvi un saggio pubblico e visibile del mio sommo ossequio, anche a costo di esser creduto temerario, anche col pericolo di non meritare il vostro gradimento. Questi pensieri hanno per verità fatto qualche spavento a quello che io nodriva da tanto tempo addietro, cioè di presentarvi qualche mio componimento, perché infatti mi pareva un profanare la sublimità del vostro nome, chiamandolo ad illustrare con un raggio della sua luce le tenebre de’ miei debolissimi parti; ma perché mi pareva di offendere la fama della vostra benignità col diffidarne, mi sono determinato di vincere ogni altro giusto riguardo e, senza più considerare la tenuità del mio dono, mi sono unicamente fermato nel riflettere al vantaggio, che riceverà questo libro dal portare in fronte il nome di vostra eccellenza, e nel pensare all’indole vostra assai generosa per accordarmi quest’onore. Io ve ne supplico, madama, con tutto lo spirito e voglio sperare che, a tante altre vostre prerogative, vorrete che si aggiunga anche l’esercizio d’una gentilissima clemenza, soffrendo che io, con quest’atto di ambiziosa riverenza, palesi quanto mi glorio di esser creduto e conosciuto qual sono, con profonda umiliazione, di vostra eccellenza umilissimo, divotissimo e obbligatissimo servitore.
 
    Pietro Pariati
 
 ARGOMENTO
 
    L’anno del mondo 3382 Aprio, re di Egitto, fu ucciso in una sollevazione da Amasi, suo primo ministro, insieme con cinque figliuoli. Sesostri, che di questi era il minore, fu fortunatamente salvato da Fanete, suo fidatissimo, insieme con la spada del re suo padre, e nascostamente allevato lontano dalla reggia e da Menfi, senza che, fatto poi adulto, sapesse egli medesimo la sua real condizione. Regnò lungo tempo Amasi, temuto ma non amato da’ popoli, e proccurò tutti i mezzi per avere in moglie la regina Nirocri, rimasta vedova d’Aprio; ma nessun’arte giovolli, né di lusinga né di minaccia, per ottenerne le nozze, a riguardo dell’odio ch’essa aveva giustamente contro di lui conceputo.
    Innanziché questi avesse occupata la tirannide, aveva data promessa ad una certa Ladice, nobile egiziana ma non di Menfi, e con tale speranza ne aveva ottenuto un figliuolo, per nome Osiride, poco prima della sua ribellione. Giunto a regnar su l’Egitto, scrisse a Ladice che non dovesse portarsi in Menfi, che anzi più se ne allontanasse educando il figliuolo, non potendo egli peraltro serbarle la sua promessa, mentre la necessità della sua presente fortuna l’obbligava a pensar a Nitocri ed a non curar più di lei. Dopo il giro di molti anni venne a morte Ladice; e innanzi di morire scrisse una lettera ad Amasi, pregandolo che almeno avesse a cuore il figliuolo Osiride, il quale fu da lei confidato ad un tal Canopo, aio del fanciullo e notissimo al tiranno, consegnandoli inoltre l’anello matrimoniale, datole da questo in fede di sua promessa. Di tutto ciò fu avvisato Fanete che teneva spie fidelissime di quanto passava; e fatto venire lo sconosciuto Sesostri in una sua casa di villa presso di Menfi, lo persuase ad aspettare in un certo sito il figliuolo d’Amasi e ad ucciderlo insieme con Canopo che, lasciato per morto, sopravvisse alle sue ferite ed ebbe campo di presentarsi ad Amasi e di scoprire l’inganno. Intanto Sesostri tolse al morto Osiride l’anello e la lettera di Ladice e, col consiglio di Fanete, si presentò al tiranno e gli fe’ credere d’esser Osiride suo figliuolo e, col testimonio della spada di Aprio, d’aver ucciso Sesostri. Nel suo brieve soggiorno presso Fanete, innamorossi di Artenice, figliuola di lui e che ancor bambina era stata destinata sua sposa. Questa vicendevolmente s’innamorò di esso, in tempo che anche il tiranno, stanco dalle ripulse di Nitocri, rivolse ad Artenice il suo affetto onde poi, violentemente trattala ne la reggia, pensava di farla moglie e regina. Il rimanente s’intende dalla tessitura del drama, il cui storico argomento è preso da Erodoto nel libro II. A ciò che è verisimile ed invenzione somministrò qualche parte d’idea un moderno tragico francese, cioè il signor de Lagrange nella sua tragedia intitolata Amasi re di Egitto.
 
 ATTORI
 
 SESOSTRI figliuolo di Aprio, già re di Egitto, amante di Artenice e creduto Osiride, figliuolo naturale di Amasi
 (il signor Stefano Romani)
 AMASI tiranno, uccisore di Aprio ed amante di Artenice
 (il signor Giovanni Batista Carboni)
 ARTENICE figliuola di Fanete, amante di Sesostri
 (la signora Maria Domenica Pini detta la Tilla)
 NITOCRI regina, vedova di Aprio
 (la signora Lucinda Diana Griffoni)
 FANETE uno de’ principali satrapi del regno, padre di Artenice, confidente in apparenza di Amasi ma suo nemico
 (il signor Giovanni Paita)
 ORGONTE capitano delle guardie reali, confidente ancor egli di Amasi ma collegato con Fanete
 (il signor Matteo Berscelli)
 CANOPO aio di Osiride, figlio di Amasi
 (il signor Giovanni Batista Calvi detto Gambino)
 
    Gl’intermezzi sono rappresentati dal signor Andrea Franci e dal signor Giovanni Batista Calvi detto Gambino.
    La musica è del signor Francesco Gasparini. Le scene sono del signor Antonio Lombardo.
    La scena si rappresenta in Menfi, reggia dell’Egitto, e ne’ suoi contorni.
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: campagna deliziosa su le rive del Nilo, palazzo suburbano di Fanete e veduta di Menfi in lontano; gabinetti reali; galleria d’idoli.
    Nell’atto secondo: stanze di Nitocri; logge o corridori negli appartamenti di Artenice; parco ne’ giardini reali.
    Nell’atto terzo: sala reale; parte di tempio con trono e simulacro dell’Odio; tempio tutto aperto ed illuminato con l’ara di Amore e d’Imeneo.